La luce in fondo al tunnel

Capita spesso, quando si discute o scherza di religione, che ci siano persone che si arrabbino molto, anche laddove nello scherzo o nella domanda non ci sia nulla di offensivo.
La conclusione che si sarebbe tentati di trarre è che queste persone siano permalose e che sia la loro permalosità a fargli percepire offesa e malizia laddove non ci sia; ma questa è una conclusione che, oltre a non essere utile dal punto di vista pratico, è anche con tutta probabilità completamente sbagliata.
Al di fuori della religione, scommetto che queste sono persone del tutto ragionevoli. Probabilmente pure intelligenti.
Il problema è la sofferenza psicologica causata dal dubbio.

La verità e il dubbio

Tutti sono abituati a dire che 2+2=4 e che 2+2 non fa 5, ma molte poche persone capiscono davvero il perché: la maggior parte delle persone da per scontato che sia così, punto.
Ma per capire se una cosa è vera, bisogna prima di tutto ammettere la possibilità che la cosa sia falsa: è col ragionamento e le evidenze, che poi ci si rende conto che, tra le due (vera o falsa), la cosa è effettivamente vera, piuttosto che falsa (o viceversa!); ma se non ammetti la possibilità che un’affermazione possa essere falsa, se ammetti come unica possibilità che tale affermazione sia vera, potrai credere, potrai pensare che la cosa sia vera, ma non capire perché quella cosa sia vera. Nè, di conseguenza, esserne autenticamente certo.
Io sono “certo” che 2+2=4 e non 5, non perché “lo so”: ma perché innumerevoli volte ho aggiunto 2 a 2 e ho sempre ottenuto 4, mai 5, né 3 o altri numeri. Ogni volta che aggiungevo due pere a due mele, ottenevo 4 frutti. Ecco perché sono convito che 2+2 fa 4.
Ma se un giorno, ipoteticamente, aggiungessi 2 pere a 2 mele e ottenessi 5 frutti, non mi direi: “vabbé, i frutti son cose diverse dai numeri, 2+2=4 ovviamente, perciò il fatto che alla fine ottengo 5 frutti significa che non si può fare matematica coi frutti”; al contrario, mi sentirei molto confuso, e mi metterei a sommare biglie, pappagalli e quant’altro; e se ottenessi sistematicamente 5, concluderei che 2+2=5 e inizierei a chiedermi “ma allora perché mi aspettavo 4, quando evidentemente fa 5?”. E se ottenessi a volte 4 e a volte 5, cercherei di capire da cosa dipende, di volta in volta, quale particolare risultato è quello corretto.
Io sono sicuro che 2+2=4 non perché “lo so”, o perché “è così”: ma perché in primo luogo ammetto che possa non essere così e perché ogni volta che lo metto in dubbio, puntualmente, fa sempre 4. Io sono confidente nell’affermazione “2+2=4” perché questa affermazione si è ampiamente meritata la mia fiducia, non tradendomi mai. Così confidente lo sono a posteriori, non di certo a priori.
Da ciò posso ragionevolmente concludere che, quanto fa 2+2, è indipendente dal risultato in cui io credo: che “2+2=4” è vero (o falso) indipendentemente dal fatto che io ci creda o meno. Il che è la definizione operativa di verità.

Intelligenza e (è?) Curiosità

Non mi ritengo certamente la persona più intelligente del mondo, ma un sacco di circostanze della mia vita mi hanno mostrato che non sono un totale stupido. Mi è capitato spesso di trovare difetti in ragionamenti o approcci di altre persone (le quali mi hanno spesso ringraziato per averglieli fatti notare); mi è capitato spesso che altri mi chiedessero aiuto per risolvere un problema o capire una cosa, richiesta che ho spesso esaudito con successo.
Naturalmente, è anche capitato molte altre volte che fossero gli altri a farmi notare errori, o ad aiutarmi a correggerli e risolvere problemi. Insomma, come ho detto: non sono né un cretino né un genio; ma la mia naturale curiosità e voglia di capire le cose mi ha sempre portato a farmi domande, il che mi ha permesso di capire spesso cose che altri non avevano afferrato o anche solo notato.
Ecco, l’intelligenza è questo: capacità di capire le cose. Unita alla curiosità (voglia di capire le cose), porta spesso alla circostanza di capire, di fatto, le cose.
Spesso: ma non sempre.

La Fede e l’Amore

Come posso esser certo di quello che mi è stato detto e insegnato, se prima non lo metto in discussione? Io voglio esser certo che quello in cui credo sia giusto, e so che per esserne certo non basta crederci con forza ma anzi, quanto ci credo è irrilevante. Per esser certo di credere nelle affermazioni giuste, devo mettere alla prova le mie affermazioni, altrimenti rischio di parlare di aria fritta.
Ma al tempo stesso la maggior parte delle religioni insegna a non mettere in dubbio la propria fede,¹ insegna a sentirsi in colpa nei confronti della divinità e della sua comunità di fedeli quando le si mette in dubbio: «ma come, Dio ti ha creato con tanto amore, Gesù è morto per te, e tu ti chiedi perché devi andare in chiesa tutte le domeniche? Tu dovresti voler andare in chiesa!», erano solite rispondermi le maestre di catechismo quando chiedevo l’utilità di ripetere tutte le Domeniche sempre lo stesso rito. Io ero un bambino, in Dio ci credevo perché così mi era stato insegnato, non cercavo certamente di negarne l’esistenza con le mie domande: ponevo domande solo perché cercavo di capire; ma le maestre di catechismo, invece di darmi delle risposte, mi hanno dato dei sensi di colpa. “Che ingrato! Dopo che lui ti ha creato, dopo che lui è morto per te, dopo tutto quello che ha fatto per te, è con questa moneta che lo ripaghi: dubitando di lui e della sua chiesa?” Non erano queste le loro parole, naturalmente, perché sarebbero state passibili di denuncia per abuso su minore; ma era sempre questo il senso delle loro risposte.

Dissonanza cognitiva

Una persona intelligente riesce facilmente a vedere collegamenti e cogliere incongruenze, perché si pone le domande giuste: per una persona intelligente e curiosa certe domande sono così naturali da essere inevitabili.
Ma al tempo stesso, se metti in discussione gli insegnamenti cristiani, stai facendo piangere Gesù bambino: che ingrato! “Dopo tutto quello che ha fatto per te?”
Il divieto implicito di mettere in discussione gli insegnamenti cattolici, unito alla mia naturale tendenza a voler capire le cose, mi ha causato per anni enorme turbamento.
Turbamento le cui cause, però, mi erano ignote: non è che fossi cosciente e consapevole del problema. Sentivo, nel retro della mia mente, che c’erano numerose cose che non mi tornavano²… ma il senso di colpa che derivava dal metterle in discussione mi censurava automaticamente questi pensieri, prima ancora che potessero affiorare a un livello cosciente.
Immaginate ora di avere di fronte una persona in queste condizioni, e immaginate di fare una ragionevolissima domanda circa la natura di Dio, l’autenticità della bibbia, la storia di Gesù: che reazione pensate che possa avere? Entrerà in uno stato sulla difensiva, naturalmente, senza né accorgersene né sceglierlo.³

La rabbia e l’intolleranza

Arrabbiarsi ed essere intolleranti è solo un meccanismo di difesa che si adotta in questi casi per non soffrire, per coprire ai propri stessi occhi le incongruenze che siamo perfettamente in grado di notare.
A volte si è tentati di offendere e deridere queste persone: insomma, che razza di persona può essere una che nega l’evidenza e si offende quando glie la fai notare? Ecco che genere di persona: una persona intelligente, a cui sono stati inculcati sensi di colpa, e che ne soffre profondamente.
Offenderle o deriderle, oltre che essere crudele, oltre che essere un fallace argumentum ad hominem, è anche inutile e anzi dannoso, perché non fa che spingere queste persone a chiudersi ulteriormente nelle proprie rassicuranti “certezze”.
E benché ragionarci pacificamente e portargli con calma all’attenzione le incongruenze possa sembrare una migliore strategia, è evidente a tutti che questa strategia, pure, non funziona affatto. Ma non perché non sono intelligenti! Perché, al contrario, sono stati addestrati a usare la loro intelligenza per combattere loro stessi.
Sembra di essere giunti a un impasse e che la cosa non si possa risolvere in alcun modo; eppure, ogni giorno, migliaia di persone riescono finalmente a trovare il coraggio di portare alla luce la verità dentro loro stessi.⁴ Cosa lo rende possibile?

La speranza in un’alternativa

Una persona in questo stato, nonostante la sua intelligenza (anzi: a causa della sua intelligenza!) non ne uscirà mai con la pura ragione, perché la sua intelligenza è pilotata da un sentimento negativo: la paura.
Se ti è stato insegnato per anni che Dio è buono e giusto, che Egli è la sola ed unica fonte di ogni bene sulla Terra, che noi uomini senza Dio siamo dannati perché intrinsecamente peccatori, che il diavolo si nasconde dietro al dubbio in Dio (o che Dio sta mettendo alla prova la tua fede per vedere quanto bene gli vuoi), se sei schiavo di tutto questo, come potrai mai avere la speranza di un mondo giusto senza Dio? Avrai, al contrario, un terrore fottuto di scoprire di non credere in quel Dio, e farai di tutto per nasconderlo a te stesso.
La sola via d’uscita da questa trappola dell’animo è mostrare a queste persone così turbate che un mondo giusto senza Dio è perfettamente possibile: non con evidenze logiche né sperimentali, perché la loro paura spingerà automaticamente la loro ragione a ignorarle; ma parlando direttamente alle loro emozioni e smontando la ragione d’essere della loro paura: mostrandogli direttamente con i propri comportamenti e con esempi reali che Dio non è la sola fonte di ogni bene, che Dio non è necessario per un mondo giusto, che non è Dio che da un senso alla nostra esistenza, che un mondo giusto è perfettamente possibile senza Dio, e soprattutto che il mondo non diventa meno giusto solo perché viene a mancare Dio⁵.
Le cose che, infine, mi hanno dato il coraggio di dissociarmi dalla religione in cui sono stato battezzato e in cui ho volontariamente scelto di essere cresimato, sono state due: scoprire che secondo il giudizio sociale di numerose persone è perfettamente lecito non essere cattolici, e conoscere persone atee perfettamente ragionevoli, buone, altruiste e di piacevole compagnia. Il passo dal bigottismo al guardare in faccia la realtà non è stato certo immediato; ma nonostante dentro di me avessi già tutti gli elementi per liberarmi della religione, se non avessi fatto queste due esperienze non avrei mai trovato la forza di farlo.

¹ Questa cosa potrà sembrare palesemente falsa a un credente: “ma come, il dubbio è l’inizio delle fede!”. Ma mettere in dubbio qualcosa sapendo già quale sarà la conclusione a cui giungere, da solo l’apparenza di dubitare. Se dubiti davvero di un’idea, sei autenticamente disposto a rinunciare a quell’idea. Guarda nel tuo cuore: saresti disposto ad ammettere che Dio non esiste, di fronte all’evidenza che l’uomo non è stato creato “a sua immagine e somiglianza” e che la morale ha un’origine puramente biologica? Guarda nella tua mente: se hai una cultura scientifica di base, stai già cercando vie di fuga; e se manchi di queste conoscenze, stai automaticamente pensando “ma tanto non ci sarà mai questa evidenza” e ti stai inconsciamente preparando a come combatterla o aggirarla qualora venisse fuori. Lo so, perché l’ho fatto per anni io stesso.

² Tanto per fare un esempio banale: l’incompatibilità di onnipotenza + onniscienza + infinita bontà + esistenza del male nel mondo, sempre risposta sbrigativamente con il “libero arbitrio dell’uomo”. Sì, ma se mi hai appena detto che il male è causato dalle tentazioni del diavolo e che il diavolo non è un uomo, non poteva Dio liberarsi del diavolo senza per questo privare l’uomo della libertà? O magari, essendo onnisciente, Dio poteva evitare in primo luogo di creare quel particolare angelo Lucifero, sapendo che costui l’avrebbe tradito mandando a puttane tutta la sua creazione. Vedete, il mio problema con la religione è sempre stato che le cose cercavo di capirle così bene, che trovavo (involontariamente!) sempre quelle falle che le maestre non erano state addestrate a liquidare.

³ Certo, a 14 anni non me ne andavo in giro per pagine di facebook “blasfeme” augurando a tutti l’inferno; d’altra parte, facebook manco esisteva quando avevo 14 anni.
L’avrei fatto, se fosse esistito facebook? Non credo. Ma non perché sono una persona “migliore”: semplicemente, sono sempre stato un outlier e questa circostanza mi ha fatto imparare ben presto, sulla mia pelle, il valore della tolleranza verso chi è percepito come diverso. Penso che chi non ha mai avuto la sfortuna di essere discriminato e isolato, difficilmente avrà la fortuna di comprendere il valore del rispetto di chi è diverso.
Cionondimeno ricordo con precisione che, ogni volta che mi si poneva davanti un concetto che mettesse in discussione la mia “fede”… la mia mente guardava altrove.

⁴ «You know that periodic doubt of faith? It’s not God testing you. It’s the truth trying to emerge and free you.» — Anonimo

⁵ Anzi: il mondo può persino diventare più giusto se ti dissoci da quelle istituzioni che per decenni hanno lasciato morire di AIDS la gente in Africa a causa delle loro ottuse posizioni sulla contraccezione.

Nota finale: mettiamo le mani avanti.
Se avrete avuto la curiosità di aprire tutti i link che ho fornito, avrete sicuramente notato che ho ampiamente attinto da lesswrong; potrà sembrare un’ipotesi ragionevole, ma la mia attuale posizione sulla religione non è stata minimamente influenzata da queste letture (che, tra l’altro, lo sottolineo: non sono letture che invitano all’ateismo, ma letture che invitano a un uso consapevole del cervello — e se poi questo porta all’ateismo, pazienza). Ho rigettato la religione in cui sono stato educato, anni prima di venire anche solo a conoscenza dell’esistenza di questo blog; e prima ancora di rigettarla, ho passato numerosi altri anni in quello stato di profondo turbamento e senso di colpa che ho descritto.
Dico questo, a testimonianza del fatto che la maggior parte delle persone che abbandonano le religioni, lo fanno ciascuna indipendentemente dall’altra attraverso un percorso di crescita personale (benché spesso anche grazie all’aiuto di qualche spunto di riflessione esterno e/o aiuto psicologico); diversamente invece da come la maggior parte delle persone che si identifichino in una fede (anche se non tutte, naturalmente!), lo facciano quasi sempre per lo stesso motivo: perché ci sono nate e non vedono alternativa.